La ballata della donna ertana

LA BALLATA DELLA DONNA ERTANA

Dopo aver celebrato le sue montagne e i loro segreti e aver dato vita a epici personaggi nati tra i boschi, Mauro Corona presta le sue potenti parole a una donna, per raccontarne la vita costellata di sventure ma sorretta da un incrollabile coraggio.

Come tante madri e mogli vissute in società patriarcali, la protagonista di questa ballata è tormentata dalla fatica dei giorni e dalla brutalità degli uomini: alle spalle ha il lavoro nei campi o in casa, gli abusi di un marito violento, anni svuotati di ogni gioia tranne l’amore per i figli. Davanti a sé nessuna speranza, se non l’attesa della morte per “mettere le ali e volare in paradiso”.

Finché un giorno dei forestieri arrivano in paese per costruire una diga, portando finalmente un po’ di benessere. Ancora non sa, la donna ertana, che il 9 ottobre del 1963 sarà proprio quella diga a provocare l’apocalisse.

In questa maestosa e forte ballata, Mauro Corona canta la forza e l’orgoglio di tutte le donne capaci di affrontare a testa alta le durezze del destino e lo fa attingendo al dialetto della sua terra, una lingua impastata di sudore e sangue, schioccante come i rami che si spezzano sotto il peso della neve, dolce come la carezza di una madre.

Dal libro:

DIALETTO ERTANO:
“E lie la fu netada dal dolèur,

c’al l’éva despeada dì par dì,
fin ch’ala fin, la s’éva rot al chèur
la diśì: «Basta, ochì no g’in pòs pì”.
Chésta l’è la so scianta ma no sól,
la scianta de le dute tèca lie,
fémene strache de chést mónt bél sól
cal va va su dalt ma thèintha mèi stè mie”.

TRADUZIONE:
“Lei venne annientata dal dolore
che l’aveva pettinata ogni giorno di più,
finché alla fine le si ruppe il cuore,
e disse: «Basta, non ne posso più».
Questa è la sua storia ma non solo
è quella di tante come lei, donne
stanche di un mondo sempre più vuoto,
che vola in alto senza migliorare”.

DIALETTO ERTANO:
“Scianta le nine, scianta le viole,

scianta chile da Nèrt che le vèint mole.
Scianta le nine, scianta le thedìge,
scianta chile da Nèrt che fè fadige”.

TRADUZIONE:
“Cantano i fiori, cantano le viole,
cantano le ertane che vendono mole,
cantano i fiori, cantano le rondini,
cantano le ertane che faticano” .

DIALETTO ERTANO:
“Có ère canàia me pèins matante robe,
me père l’èra bón, fiva restìe,
no `l ge diva a mi óma
e iù credéve d’avei fortuna almanco tèca lie.
Alora me sbalgiave ma nol séve,
credéve che la vita la fus mie,
invéthe è fàt na vita de legnade,
e sui ochì, matànt pédho de lie”.

TRADUZIONE:
“Di quando ero bambina ricordo cose belle,

mio padre era buono, costruiva rastrelli
e non picchiava mia madre.
Io speravo di esser fortunata quanto lei.
A quel tempo mi sbagliavo e non sapevo,
credevo che la vita fosse meglio,
invece ho fatto una vita di legnate,
e sono qui, molto peggio di lei”.

Pubblicazione

2011

Casa Editrice

Ed. Mondadori

Pagine

81

Note

In dialetto ertano con testo italiano a fronte.
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