Finché il cuculo canta

Finché il cuculo canta

Finché il cuculo canta è un omaggio all’epopea degli ultimi, a un mondo ormai scomparso, ad un paese abbandonato popolato dai fantasmi del passato. È un po’ tornare tra le sue vie, tra le sue case, con quella gente. Storie riemerse dall’oblio, venute fuori dai ciottoli della contrada San Rocco, vicino alla chiesa, dove Mauro Corona è cresciuto assieme ai coetanei, dove per secoli ha pulsato il cuore della vecchia Erto.

Finché il cuculo canta vale la pena di ascoltarlo. II cuculo porta la primavera e con essa la speranza. Compongono queste pagine racconti di uomini, rocce e camosci. Li ha fatti nascere quel canto, «cù-cù», sotto il sole giovane di due primavere.

A primavera tornano i ricordi. Narrano storie drammatiche, dure (qualcuna ironica) che hanno attraversato la vita dei protagonisti da parte a parte. Lo sfondo, dove si muovono come ombre lontane, è la Natura, forte, dolce, spietata, la quale, come disse Pessoa: «Mai si ricorda e perciò è bella».

Dov’era finita Valnea che sognava il principe azzurro? E le altre: Filomena, la Giobba, chi erano? Gustìn era un uomo senza fede ma, a quarant’anni, venne folgorato sulla via del paese. Il giovane boscaiolo Merisi sfidava la morte, forse la cercava.

Cosa li tormentava?
Vittime di un destino a dir poco spietato, i protagonisti di questo libro hanno percorso il sentiero con la gerla della sfortuna, abbandonando la vita con quella del dolore. Ma la Natura, nonostante le aggressioni, rimane ancora presente accompagnando i racconti con la sua forza e suggestione.

Dal libro:

“Dal Monte Tóc scivolava altra terra, il rumore mi faceva tremare le gambe. Non ce la facevo più, l’istinto mi diceva di fuggire, tornai fino all’uscio. Tenni duro, la vecchia si era alzata, ormai pensavo fosse fatta, invece era solo l’inizio. Gesticolando al buio non riuscivo a farle capire che eravamo in pericolo, che dovevamo scappare, che il Tóc era franato. Si arrabbiò, cercò di spingermi fuori dalla stanza, era in vestaglia, avevo osato violare la sua cella monacale. Allora l’afferrai per le spalle e, badando a non farla cadere, la trascinai di forza sul pianerottolo. Si mise a piangere. Piangeva senza voce, emetteva appena un soffio. Non capiva quella violenza. Mi si strinse il cuore nell’udire quel rantolo di gufo”.

“Gli occhi sono un dono prezioso, ci permettono di intuire l’anima. Qualcuno ha voluto concedere agli uomini il regalo di scrutare dentro lo spirito attraverso lo sguardo. Per questo gli occhi non invecchiano mai”.

“I bambini crescevano sani, belli e forti, e così gli alberelli. Quando ebbero raggiunto l’età della ragione, il padre li portò uno alla volta di fronte al proprio albero e tenne loro un breve discorso: «Figliolo questa pianta ti appartiene, l’ho messa nella terra il giorno in cui sei nato. Devi amarla, rispettarla, curarla come fosse la tua persona. Se le vorrai bene ti sarà amica, ti terrà compagnia per tutto il tempo che il destino vorrà concederti». I fanciulli iniziarono l’avventura della vita e ognuno curò con affetto il proprio albero. Giocavano, si sedevano vicino al tronco, accarezzavano i rami, affidavano alle foglie i loro segreti”.

Pubblicazione

1999

Casa Editrice

Ed. Biblioteca dell'Immagine

Pagine

240

Note

Antologia di racconti.
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